Intervista a Gloria Barbanti, in residenza artistica ad OfficinAcrobatica
Chi sei e in cosa sei specializzata?
Sono Gloria Barbanti e sono specializzata in discipline aeree, soprattutto in trapezio. Ho studiato alla scuola “Flic” di Torino.
Quando è nata la tua passione per il circo?
La mia passione è nata durante il mio periodo di università a Bologna. Mentre studiavo alla facoltà di antropologia frequentavo anche laboratori di giocoleria; dunque, sono venuta a conoscenza di festival di strada a cui poi ho partecipato. Questa mia passione è cresciuta sempre di più finché ho deciso di formarmi in modo professionale, prima frequentando la “Galante Garrone” a Bologna, facendo un anno di teatro, poi iscrivendomi ad una scuola di circo a Roma e infine alla “Flic” di Torino
Come si chiama il tuo spettacolo e di cosa tratta?
Si chiama “Hibakujumoku”: è una parola giapponese, significa alberi che hanno subito un’esplosione atomica. Sono 160 specie differenti di alberi che sono resistiti alla bomba atomica di Hiroshima e Nagazaki, il 6 e 9 agosto del 1945. Ad oggi questi alberi sono dei monumenti, sono un vero e proprio simbolo di resistenza per tutto il mondo.
Come ti è venuta l’idea di rendere incentrarti proprio su questi alberi del Giappone?
Io sono molto appassionata del mondo vegetale e, un giorno leggendo un libro a riguardo, ho scoperto la storia di questi alberi. Non essendomi mai troppo immersa nella cultura giapponese, per creare questo spettacolo ho letto libri riguardanti il Giappone e ho visto molti film di quella cultura. Il mio spettacolo però è incentrato sul significato di questi alberi; temi fondamentali sono la resistenza e il mondo vegetale, più che la cultura giapponese.
Cosa rappresentano per te gli Hibakujumoku?
Per me rappresentano la bellezza e la purezza del mondo nonostante la guerra, questi alberi sono un grande insegnamento per tutta l’umanità e dimostrano come la vegetazione sia molto più forte degli uomini e che, nonostante tutto, anche se spogli e rinsecchiti, loro hanno resistito e sono sopravvissuti.
So che nel 2023 hai già fatto una residenza ad Officina, hai ripreso qualcosa dalla residenza passata?
Sì, ho ripreso molto materiale sia fisico che tecnico. Anno scorso in tre settimane di residenza ho costruito tutta la scenografia che ora utilizzo, poi col tempo ho fatto delle modifiche. Nell’uscita di residenza del 2023, però, nulla aveva a che vedere con gli alberi, era uno spettacolo più introspettivo e psicologico. Dunque era tutto molto complesso e neanche io avevo un’idea chiarissima di ciò che volessi comunicare. Poi nel frattempo leggevo un sacco di libri riguardo il mondo vegetale e quando ho letto la storia degli Hibakujumoku ho deciso che volevo parlare di loro.
Su cosa ti stai concentrando, invece, in questa residenza? E adesso a che punto sei della creazione?
Avendo già sperimentato il materiale fisico e scenografico lo scorso anno, ora mi sto concentrando di più sulle scene; in particolare ne sto provando due, quelle che sono più complicate a livello tecnico e fisico, sia perché ci sono più elementi di circo, sia perché devo far muovere la struttura. La creazione è ancora in forte work in progress, però almeno ho una traiettoria ben definita da seguire.
Quando metterai in scena “Hibakujumoku”?
Il 6 giugno davanti ad Officina presenterò qualche pezzo, non so se riuscirò a presentare lo spettacolo per intero, però non voglio mettermi fretta, voglio che sia curato nei minimi dettagli.
Qual è stata la tua prima creazione performativa?
La mia prima creazione performativa è stato il progetto di uscita presentato alla Flic. Io sono solita utilizzare molti attrezzi: in questo spettacolo uso tre tessuti, in quel progetto utilizzavo due trapezi. Mi sono ispirata al film “Malena” di Trovatore, con Monica Bellucci. Parla di una donna bellissima lasciata da sola in un paesino della Sicilia dopo la partenza del marito per la guerra. Lei era una ragazza molto timida, additata come prostituta perché molto affascinante. Nel mio numero volevo raccontare quanto a volte la bellezza di una donna sia un fattore di pregiudizio nella società. Un trapezio lo avevo addosso, legato; incatenandomi, esso rappresentava la bellezza che mi intrappolava e non mi rendeva libera.
Dal tuo primo spettacolo fino ad ora cosa è cambiato?
Sono cambiate molte cose, grazie all’esperienza accumulata. In passato, tendevo a creare spettacoli che trovavano facile mercato. Oggi, però, il mio approccio è diverso. Non cerco più di produrre semplici beni di consumo; ciò che creo è arte, qualcosa di autentico e profondamente personale. In passato, forse, non mettevo tutto il mio cuore in ciò che facevo, ma ora il mio lavoro è guidato dalla passione e dalla voglia di esprimere me stessa. Ho imparato a separare il processo creativo dal desiderio di profitto, e ora trovo soddisfazione nel creare per il semplice piacere di farlo.Quello che però non è mai cambiato è che, con gli spettacoli che creo, voglio trasmettere la mia visione del mondo, con la mia interpretazione. Di “Hibakujumoku”, ad esempio, voglio raccontare la forza della natura e trasmettere un messaggio di speranza.
Intervista a cura di Valentina Tartaglione,
studentessa del DAMS Bologna,
in tirocinio ad OfficinAcrobatica.