Intervista a Sarah Ferretti

Intervista a Sarah Ferretti, in residenza artistica ad OfficinAcrobatica

Ciao Sarah, raccontaci chi sei e in cosa sei specializzata.

Io sono Sarah Ferretti, vengo da Napoli, ho studiato all’Accademia di circo “Flic” a Torino e lì mi sono specializzata in trapezio fisso. Attualmente vivo in Friuli-Venezia Giulia, lavoro in una palestra di circo e insegno aerea sia ai bambini dai 4 anni che agli adulti. Lavorare con i bambini e vivere in un posto immerso nella natura mi stimolano parecchio.

Quando e come è nata la tua passione per il circo?

La mia passione è nata in terza media: una mia compagna di classe disse che stava facendo circo, mi incuriosii e decisi di provare anche io, così iniziai a fare dei corsi amatoriali di trapezio e tessuto. Alla fine del liceo capii che non avrei fatto l’università, decisi di partecipare alle audizioni per una scuola professionale di circo e mi presero.

Io non avevo idea di che cosa fosse veramente il circo, l’ho capito in accademia, in particolar modo grazie alle persone che ho conosciuto lì dentro, loro hanno contribuito a far crescere la mia passione e la mia curiosità per questo mondo.

Come definiresti il tuo spettacolo?

Non lo definisco uno spettacolo ma una performance. Ho uno schema da seguire, e il resto è improvvisazione. Dura dai 20 ai 30 minuti e tutto ciò che avviene dipende da quel preciso istante. La  performance cambia in funzione del luogo in cui lo faccio, al pubblico presente in sala, come mi sento in quel momento.

Come si chiama la tua performance e come è nata?

La performance si chiama “Cosa vedi” e questo lavoro è nato per caso, per una mia esigenza di costruire qualcosa con le mani e non concentrarmi solo sulla tecnica del trapezio. Ho progettato e costruito una struttura che è stata definita dal pubblico “una vera installazione di arte moderna” e,  giocandoci, mi stimolava l’immaginazione. 

Ogni volta ci vedevo cose diverse e, quando l’ho presentata la prima volta, ogni persona raccontava quello che aveva visto, ed era diverso uno dall’altro. Allora ho deciso di chiamarla “Cosa vedi”. 

Creo delle immagini, suggestioni,  non racconto niente e non dico niente, voglio che il pubblico viaggi con la propria immaginazione e crei proprie immagini. 

Alla fine di ogni performance chiedo agli spettatori di dirmi cosa hanno visto, le loro immagini a loro volta stimolano me per le performance successive. È uno scambio reciproco e di conseguenza un work in progress continuo, io stimolo il pubblico e il pubblico stimola me.

Cosa ha visto il pubblico finora?

Le immagini ed emozioni più disparate: alcuni mi hanno detto di aver visto una farfalla, una bambina che lotta con le sue paure, una crisalide, un bruco, una nave, un grappolo d’uva con un acino andato a male, hanno visto una gallina, un aquilone, hanno visto un abito e c’è chi addirittura ci ha visto una coscia di pollo… ed insieme a questo ciascuno immagina e crea nella sue mente racconti, evoluzioni ed emozioni probabilmente collegati alla propria storia personale. 

Come è nata l’idea della struttura che non è solo una scenografia?

Dici bene, la struttura è protagonista e personaggio della storia quanto me. Ho disegnato una gabbia aperta che si sviluppa in alto, poi ho pensato di farla gigante e metterci dentro il trapezio. Ho costruito la gabbia col fil di ferro e ho cercato di trovare dei materiali che potessero coprirla, la carta da forno risulta molto efficace a livello di movimento, rumore ed estetica. Ovviamente è molto fragile, si rovina ogni volta e la devo sempre ricostruire, ma mi piace la sua fragilità. Ad un certo punto finirà, perché non sarà più possibile usarla, ma va bene così.

Quanto tempo hai impiegato per creare la tua performance e a che punto siete con la creazione?

Ci ho lavorato per alcuni periodi di tempo non continui, iniziando un paio di anni fa. Ci sono lunghi periodi in cui io mi allontano da questo lavoro e poi mi ci riavvicino. Ad esempio, non toccavo questo lavoro da settembre e lo riprendo ora a gennaio, qui, durante la residenza a OfficinAcrobatica. Come dicevo è un work in progress che ancora continua, non voglio assolutamente sviluppare e finire un prodotto al più presto, mi piace lavorare a questa cosa nel suo lento evolversi.

È il tuo primo progetto? …e qualcuno ha collaborato con te?

Sì, è il mio primo progetto personale che creo, l’ho iniziato da sola e ci ho lavorato per un sacco di tempo. Essendo rinchiusa dentro la struttura, è stato sempre molto difficile, per me, capire cosa stesse succedendo da fuori, così ho chiamato degli aiuti esterni, delle persone che conoscevo, le quali mi hanno dato una mano. Da poco ho inserito in questo lavoro Paola Caruso, mia grande amica, con cui ho condiviso due anni di accademia e siamo state coinquiline. Anche lei è artista di circo ed è anche musicista, in questa nuova versione di “Cosa Vedi” lei gestisce la parte musicale: utilizza la loop station, crea suoni e canta in scena. Nella performance la vedo come una narratrice esterna che restituisce col suono quello che vede.

Durante la residenza ad OfficinAcrobatica su cosa ti sei focalizzata?

Il lavoro che ho svolto ad OfficinAcrobatica si è concentrato sulla nuova ricerca sonora, grazie alla musica dal vivo generata da Paola: quello che abbiamo fatto è stato connetterci e giocare con le improvvisazioni, seguendo uno schema che tutte e due conoscevamo.

Quali emozioni vuoi trasmettere al pubblico?

Non ci sono emozioni specifiche che voglio trasmettere, quello che vorrei succedesse è che le persone lasciassero fuori la loro quotidianità e la loro realtà ed entrassero in un nuovo mondo in cui si sentano veramente libere di muoversi, guardare, toccare, farsi stimolare da quello che vedono e ritornare un po’ bambini.

Noi adulti siamo abituati a crearci delle strutture, vorrei far capire alle persone che possono vedere tutto ed è giusto tutto quello che vedono. Fantasticare e Meravigliarsi.

Come hai visto la tua evoluzione artistica, dai tuoi primi spettacoli fino ad ora?

Come artista ti immergi in condizioni completamente diverse. A inizio carriera artistica c’erano delle situazioni in cui non volevo essere, c’erano delle azioni che non volevo eseguire. Mi dicevo: “Io questo non lo posso fare scena, io non sono così, non lo farò mai…” Poi crescendo, mi sono ritrovata a fare spettacoli in cui ero obbligata a fare cose fuori dalla mia zona di comfort, lavorare in gruppo mi ha aiutata a sentirmi più libera.. Prima ero molto ferma sulle mie idee, adesso, invece, sono più aperta sapendo chi sono io, e che, però, posso anche trasformarmi in qualche altra cosa diversa da me in ogni spettacolo per meravigliare il pubblico e anche me stessa.

Stai pensando a un altro spettacolo?

La mia testa non finisce mai di immaginare cose, ho un sacco di idee, però sono ancora tutte nel mondo dei pensieri…

 

Intervista a cura di Valentina Tartaglione,
studentessa del DAMS Bologna,
in tirocinio ad OfficinAcrobatica.